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  • Cenni storici
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Nel cuore dell’Abruzzoil borgo fortificato di Santa Maria del Ponte conserva un aspetto semplice e bucolico, che gli conferiscono un’identità unica. È racchiuso da mura di cinta con due porte di accesso, entrambe con arco gotico, denominate rispettivamente “Porta da capo” (o Porta Nord) e “Porta da piedi” (o Porta Sud), e disposte ai vertici di un asse interno di attraversamento. Le mura sono circondate da un fossato, dove oggi trovano spazio una serie di orti coltivati da residenti e non.
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Porta Nord Est  (Porta da Capo).jpeg
Porta Sud Ovest (Porta da Piedi) Borgo Fortificato Santa Maria.jpg
Incertezza vi è sull’etimologia del toponimo, che è stato oggetto di diverse ipotesi interpretative: secondo alcuni deriverebbe dalla presenza di un ponte sopra il fiume Aterno, sulla cui sponda sinistra si era distribuito il borgo, secondo altri dai ponti levatoi posizionati ad entrambi gli accessi al borgo e utilizzati come sistema di difesa dello stesso (sulla porta di accesso meridionale, si possono notare due fessure parallele dove un tempo, probabilmente, scorrevano le catene per il sollevamento del ponte levatoio).

Sulle mura di cinta si scorge un simbolo ancora oggi enigmatico: la "Triplice Cinta". Rinvenibile non solo in diversi luoghi d'Italia, ma anche in tutto il mondo, farebbe pensare alla passata presenza dei Cavalieri Templari. Inciso su pietra, il simbolo, figurativamente, è piuttosto semplice: si tratta di tre quadrati concentrici uniti da tratti di intersezione perpendicolari con un foro posto in posizione centrale. Più complicato, invece, è discernere cosa il simbolo stia ad indicare. Nel tempo si è sviluppato un dibattito che ha portato a due principali ipotesi interpretative: o raffigurerebbe la scacchiera di un gioco da tavolo chiamato in Italia Filetto, in Inghilterra Nine Men’s Morris, in Francia Jeu du Moulin; o avrebbe valenza simbolica con un fondamento storico (rappresentando, per alcuni, il Tempio di Salomone a Gerusalemme e nascondendo, per altri, un significato connesso al Cristianesimo).

 
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Lungo la Strada Provinciale 46 (SP46) si trova la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, sul cui fianco sinistro si appoggia la porta meridionale (c.d. Porta da piedi) di accesso al centro storico del paese. La chiesa è in stile barocco, esternamente sobria e internamente decorata con stucchi a rilievo; al di sopra dell’area presbiteriale si apre una cupola finestrata. Monoaula con annessa la sacrestia, ha cinque altari, di cui l'altare maggiore sovrastato da una pala dipinta olio su tela raffigurante la Madonna delle Grazie (sec. XVIII). Conserva al suo interno le statue dei Santi (i.e., San Pancrazio Martire, Madonna Addolorata, San Vincenzo Ferreri).

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Chiesa Santa Maria delle Grazie con Porta Sud.png
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Memoria di un passato importante è la Collegiata benedettina di Santa Maria Assunta (detta altresì di Santa Maria del Ponte per la vicinanza al paese omonimo) eretta nel XII secolo, forse dai Templari, e ampliata nei secoli successivi. A tre navate e cinque campate, al suo interno risalta l'abside circolare con monofore dell'originario impianto medioevale, sulla cui destra si trova l'addizione settecentesca dell'oratorio della Confraternita. Conserva pregevoli affreschi. Appartengono alla chiesa:
- il "Presepe" in terracotta policroma e dorata (sec. XV-XVI) attribuito al noto artista abruzzese Saturnino Gatti, formatosi probabilmente nella bottega fiorentina del Verrocchio
- il “Sant'Antonio Abate” (1512), altro capolavoro di Saturnino Gatti, la cui figura è costruita da più blocchi d'argilla giustapposti. La scultura in terracotta lascia affiorare tutta la formazione acquisita dal Gatti al fianco dell'orafo Giacomo Di Paolo e di suo figlio Silvestro dell'Aquila, dei maestri Giovanni di Biasiuccio e Sebastiano di Cola da Cosentino;
- il “Trittico di Beffi” (Madonna con Bambino in trono e angeli, Natività di Gesù, Funerali della Madonna, Incoronazione di Maria Vergine), dipinto a tempera su tavole a fondo oro di inizio XV secolo, del Maestro di Beffi;

oggi, sono tutti esposti al Museo nazionale d'Abruzzo - MuNDA di L’Aquila.
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Trittico Beffi bis
Presepe Saturnino Gatti.JPG
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Una delle attrazioni di Santa Maria del Ponte è la Fonte medioevale. Un tempo le donne facevano la fila per attingervi l’acqua con le conche che portavano in equilibrio sulla testa protetta da una ciambella ricavata da uno strofinaccio (c.d. "sparra" in dialetto locale). I piloni, invece, venivano usati per risciacquare il bucato e per il beveraggio del bestiame.
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Tra gli elementi caratteristici del borgo si annovera l’Aja, che costituisce, per molti versi, il luogo più importante sia per il legame affettivo, che la lega a molti abitanti, sia per essere il punto di ritrovo principale. Si tratta di un grande prato ‘spontaneo’ attorniato da panchine, con una piccola area giochi e una fontanella, dove tangibile è il senso di sana libertà.
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​Santa Maria del Ponte orgogliosamente vanta i natali di Giovanni ‘Titta’ Rosa, che, costretto ad emigrare come tanti, mantenne sempre memoria e un forte legame con la sua terra. Infatti, il Monte Sirente, il Fiume Aterno, il mondo contadino, le storie della sua infanzia, la montagna abruzzese fanno da sfondo alle sue poesie e narrazioni. La casa natale del nostro intellettuale è in rione "La Valle", e le sue spoglie giacciono nel cimitero del paese natio. Titta Rosa, insieme a Massimo Lelj (1888-1962), impreziosisce la tradizione letteraria italiana novecentesca dando lustro alla Valle Subequana.​
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  • Ci sono luoghi dove devozione, folclore e spirito di comunità s’incontrano mantenendo viva una storia secolare …
Appena fuori il borgo, alle pendici del Monte di Prato Castellano, si trova la Chiesa di San Pancrazio Martire costruita nel XVI secolo. Di pianta rettangolare e a unica navata, al suo interno conserva l’altare originale, tre antichi affreschi e i breviucci. La terra del santuario ritenuta miracolosa per la guarigione dalla febbre e dalle malattie, era utilizzata per confezionare i "breviucci" - sacchetti di stoffa bianca riempiti di terra benedetta; portati a casa dei malati, una volta ottenuta la guarigione, venivano riconsegnati alla chiesa di San Pancrazio ed esposti all'ammirazione dei fedeli per la perpetuazione del culto. Ogni anno, il 12 Maggio, i devoti raggiungono a piedi la chiesa, assistono alla messa e consumano insieme panini benedetti. La prima domenica del mese di Agosto, accompagnati dalla banda musicale, si tiene la Festa grande con la processione solenne in onore del Santo Patrono. Partendo dal paese, è facilmente raggiungibile via sentiero in mezz’ora di cammino. 

Dalla chiesa di San Pancrazio la strada campestre prosegue raggiungendo
Fonte Castello, una sorgente che da il nome alla zona circostante, e La Crocetta, una radura cosiddetta dalla presenza di una croce in ferro posta dagli abitanti di Santa Maria del Ponte e visibile dal borgo stesso.
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​Immersa nella natura, a circa 700 metri dal centro abitato, si trova la Chiesa di Santa Lucia. Consta di una pianta rettangolare e di un’unica navata. Traccia della civiltà Romana, l'epigrafe in lingua latina su un cantonale in pietra all’angolo sinistro della facciata. La chiesa è stata utilizza come cimitero dal 1804 - emanazione dell’Editto di Saint Cloud (Décret Impérial sur les Sépultures) da Napoleone - al 1913 circa. La presenza di questa Chiesetta ricorda il passato agricolo-pastorale della zona: l’edificio rappresentava per gli abitanti sia un luogo di culto sia un riparo in caso di maltempo. 20 minuti e la si raggiunge a piedi: da lì, si apre una suggestiva vista sulla Valle Subequana e si può godere della maestosa imponenza di Monte Sirente. Dopo anni di abbandono è stata ristrutturata, ed oggi è meta di pellegrinaggio, che si tiene ogni anno nel mese di Agosto, e di picnic. 








 
 
Nella seconda domenica dopo Pasqua, si celebra la Festa della Madonna Addolorata, denominata anche "Madonna della Cicoriella" per l'usanza del cibo legato al suo culto. La cicoria, erba dal sapore amaro che simboleggia le amarezze della Madonna, raccolta abbondantemente nei campi è ingrediente indispensabile del tradizionale piatto di brodo con la cicoria.
Preceduta dalla liturgia, ha luogo, per i vicoli del borgo, una processione a cui prendono parte tutti, sia l’officiante che i fedeli. Lungo la stradina che dal centro storico conduce al rione La Valle si incontra un’edicola votiva in pietra (“La Madunnella”) con affresco raffigurante la Madonna Addolorata con in braccio il corpo esanime di Cristo.
 
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Il 5 Aprile ricorre la Festa di San Vincenzo Ferreri. E' consuetudine celebrare la messa e, a seguire, svolgere la processione in onore del Santo percorrendo il perimetro esterno del borgo con la benedizione dei campi.
Vincenzo Ferreri, frate domenicano nato a Valencia nel 1350, molto si adoperò per ricomporre lo Scisma d'Occidente e per far convocare un concilio a questo scopo - concilio che venne convocato a Costanza nel 1417, nel quale fu eletto Papa Martino V e la cristianità venne riunita sotto un’unica guida. Nel 1455, fu proclamato Santo da Papa Callisto III.
 
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  • Sant’Antonio Abate, tradizione tra fuoco e benedizione ... 
Il giorno del 17 Gennaio si celebra la Festa di Sant’Antonio Abate (detto anche Sant'Antonio del Deserto), monaco eremita, figura cara al mondo rurale. Tale festa segna l'inizio del periodo di Carnevale. A Santa Maria del Ponte, anticamente, accanto all’accensione del falò (simbolo di purificazione e di vittoria del Santo sulla tentazione) si benedicevano le stalle, gli animali domestici, il lavoro dei contadini. Oggi, la presenza di elementi simbolici come il fuoco solstiziale, i canti, eventuali rappresentazioni teatrali e la degustazione di buone pietanze rendono il rituale un momento di piacevole aggregazione per la comunità. Mantenere viva una tradizione che si tramanda sin dal Medioevo ha un valore ancora maggiore quando in molti paesi se ne è, purtroppo, persa la memoria.
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  • La Confraternita "Madonna del Suffragio"
Manifestazione di grande fede e spiritualità insite a Santa Maria del Ponte è la presenza della Confraternita "Madonna del Suffragio". Istituita nel 1741 e riconosciuta ufficialmente dalla diocesi aquilana nel 1749, nel 1777 ottenne l'approvazione dei "Capitoli" anche dal sovrano del Regno di Napoli re Ferdinando IV. Nel 1934 con R.D.n.933, a seguito delle disposizioni dettate dai Patti Lateranensi del 1929, le fu riconosciuta personalità giuridica. La Confraternita è menzionata nella storia della Collegiata, al cui interno, sulla parte destra, è ancora esistente l'oratorio della stessa. Curò il restauro della Chiesa di Santa Maria delle Grazie a seguito del violento incendio subito nel 1906. 
In occasioni pubbliche, Confratelli e Consorelle si vestono con le insegne, altrimenti dette paludamenti, quali mantella e stemma. La mantella di colore blu é un richiamo, ricorda la veste del Battesimo e rappresenta l’annullamento della differenza di classe sociale. Applicato alla mantella, sul lato del cuore, c'è lo stemma, il “signum”, ossia il sigillo, l'impronta della Confraternita Madonna del Suffragio:
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  • ​​Sui passi di Papa Celestino V

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Poco distante dal borgo, costeggiando il fiume Aterno, appaiono Il Ponte Romano con le sue pietre, a raccontare – con l’esserci – le antiche storie che hanno abitato questi luoghi, e l’Edicola della “Madonna della Cona“ con tanto verde tutt’intorno. Sentiero questo che percorse Pietro da Morrone nell’Agosto del 1294, a dorso di un asinello, partendo dall’Eremo di Sant’Onofrio al Morrone per raggiungere L’Aquila, dove sarebbe stato incoronato Papa nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio con il nome di Celestino V istituendo così la Perdonanza (c.d. Primo Giubileo della storia).
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  • ​​Trekking ed escursionismo

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Per chi ama l'emozione della vetta, ma anche per chi è alla ricerca di una piacevole e rilassante passeggiata tra valli e monti alla scoperta di incantevoli scenari naturali del Parco Naturale Regionale Sirente Velino, le possibilità sono numerose. Dalla passeggiata a Valle D'Arano, una splendida conca immersa tra le montagne, alla più complicata scalata del Monte Velino, dalle camminate all'interno dei boschi di faggete del Sirente alle più culturali escursioni tra i piccoli e silenziosi borghi, nonché alla riscoperta della Transumanza abruzzese - patrimonio immateriale UNESCO dal 2019 - con “le Pagliare” (tipici villaggi rurali d'altura legati alla transumanza verticale), numerosi sono i sentieri sicuri e ben segnalati, aperti e organizzati per il transito di cavalli, mountain bike e trekking, oltre a un buon numero di aree di sosta con fontanili e di rifugi attrezzati.
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  • Da Santa Maria del Ponte a Milano ... Giovanni “Titta” Rosa​​

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Giovanni Battista Rosa, più conosciuto con lo pseudonimo di Giovanni “Titta” Rosa, nacque a Santa Maria del Ponte il 5 marzo del 1891 e morì a Milano il 7 gennaio del 1972. E' una figura di grande rilievo nel panorama letterario italiano del ‘900.
Saggista, narratore, giornalista, poeta, critico d’arte e letterario, Titta Rosa si espresse in un copioso e fortunato lavoro editoriale. Tra i suoi scritti più noti: “Sole di Lombardia”, “I lumi a Milano”, “Aria di Casa Manzoni”, “Il nostro Manzoni”. Con la raccolta di racconti "Il varco del muro", nel 1931, ottenne il "Premio Bagutta". Le radici abruzzesi del nostro illustre compaesano riemergono in opere quali “L’Avellano”, “I giorni del mio paese”, “Cinque Abruzzesi e alcuni paesi d’Abruzzo”. Titta Rosa subì le influenze di Pascoli, Teocrito, Orazio. Nelle sue opere si ravvisano vicinanze leopardiane e correlazioni con un altro grande abruzzese quale è Benedetto Croce. Dopo aver completato gli studi superiori a L’Aquila, dove nel 1916 fondò con Moscardelli la rivista "Le Pagine", e conseguito la laurea a Firenze, nel 1920 si trasferì a Milano, sua patria adottiva. Collaborò con varie testate giornalistiche fra cui "L’Avanti", "La Stampa", "Il Corriere della sera", e con riviste letterarie tra cui "Lacerba". Fu direttore dell' "Illustrazione Italiana" e dell' "Osservatore Politico Letterario". Nella raccolta “Nuovi epigrammi (1958-1959)” di Pier Paolo Pasolini è protagonista dell’epigramma A Titta Rosa
A Milano, dove abitava in Via della Spiga n. 3, ebbe modo di conoscere l'arcivescovo Cardinale Montini il quale, divenuto Papa, gli diede l'incarico di scrivere l'epitaffio per la tomba di Giovanni XXIII (una copia trovasi al Convento di San Giuliano dell'Aquila).
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Titta Rosa in “Ritratto su misura“, scrive di sé:
«Sono nato in un paesello d'Abruzzo, un paese degli antichi Vestini, nella vallata dell'Aterno, prima che il fiume raggiunga la "chiusa" di Rajano, un nodo che lega le ultime balze del Sìrente, a est, con i contrafforti collinosi e boscosi del Gran Sasso, digradanti verso la piana di Sulmona. Dal mio paese, che si chiama Santa Maria del Ponte, chi ci viene dalla stretta vallata vestina, scorge che in quel punto la vallata si chiude come il fondo a un sacco, e sotto vi passa scorrendo tra ripe di salici e pioppi il fiume, e vicino ad esso, s'imbuca e sbuca da fumose gallerie il treno che risale da Sulmona o scende dall'Aquila. Dico "fumose" nel mio ricordo quelle gallerie, sulle quali ci sono greppi e boschetti, dove si vedon capre che vi si arrampicano a "cimare", di primavera, i germogli di quercioli, avellani, e altri arbusti in un intrico di bosco, che una volta, dopo il 1860, doveva nascondere anche qualche covo di briganti. La montagna di fronte al mio paese, nera di lecci e frassini e querci, orla il cielo d'un ricamo perenne: e tra quei ricami d'alberi io ragazzo immaginavo di vedere i briganti, che spiavano di lassù un loro nemico per raggiungerlo con una schioppettata o, meglio, catturarlo, e rimandarlo a casa con l'orecchia mozza. Invece, di quanto è nera la montagna di fronte, di tanto è chiara, tufacea e grigia, quella ch'è alle spalle di Santa Maria, e nuda in cima, con ciuffi qua e là di ginepri, di rovi e di asparagi selvatici. Paesi di tordi, di lepri, e anche di serpi; che d'estate corrono al fiume a bere, scendono dai buchi e dalle sassaie. con la coda ritta e il capino assetato. Guai a incontrarle, sono vipere. Feci al primo del secolo le scuole elementari nel mio paese di Santa Maria, mi insegnò i primi rudimenti di latino un giovane prete dalle dita e dal viso paffuti, sullo Schultz, o sulla grammatica di Cesare De Titta. Poi a casa mi mandarono a studiare all'Aquila, dove feci ginnasio e liceo, molte letture, e mi trovai all'Università. Cominciai a scrivere delle alcaiche al liceo, e una ne scrissi per il XX Settembre. Poi, letture di classici, un po' alla rinfusa, con più impegno i poeti dell'ultima "triade", ma un debole per Giosuè Carducci mi restò, anche se la poesia di Gabriele D'Annunzio la sentivo così musicalmente flautata. Pascoli fu un breve amore segreto. […] Ho pubblicato alcuni libri che testimoniano, diciamo così, il mio affetto a Milano: affetto di "immigrato", se non di cittadino, che vi trova e coltiva altri affetti, una casa, un ambiente, una società. Sono esse ora le mie realtà, ma la nostalgia è sempre per quella vallata, ed è testimoniata da questo libro. È per quei boschi, per quelle terre magre e tufacee dove di primavera fioriscono ciliegi e peschi, e gli uccelli fanno festa a mio padre agricoltore che pota le viti del colle vicino a casa. Ora, in "un giardino interno", di qui, di questa cara appiccicaticcia Milano - come diceva Leopardi - ogni tanto un uccelletto, di tra i rami di un platano, viene a cinguettare, solitario e lieto. È forse una cincia, non credo un usignolo, che arriva più tardi, a giugno. Quel cinguettio di cincia mi ricorda quello che faceva festa a mio padre che potava, beato lui, la sua vigna. lo non ho vigna; ho solo un campetto di parole, magre, e non di rado dolenti. E sono quelle che amo di più».

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Nelle immortali parole di Titta Rosa, anche il fascino e il radicamento culturale di uno straordinario prodotto locale:
«Il sole s’alzava velato di nebbie; e nebbie impigrivano sul dorso dei colli, sfumando lente. La stagione si spossava nella faticosa lentezza del tempo, s’estenuava nel colore degli ultimi fiori; e spuntava ardito, intriso di guazza, solo il fiore dello zafferano».
(dal racconto "Giornate d'ottobre")
Antichissima la coltivazione dello zafferano nel territorio – la prima attestazione in merito si riscontra infatti in un diploma di Roberto d’Angiò del 1317. Oggi, lo zafferano dell’Aquila (o zafferano di Navelli), definito 'oro rosso', si fregia della Denominazione di Origine Protetta (DOP) riconosciuta nel mondo per la sua eccelsa qualità, di cui sono artefici un numero ristretto di produttori aderenti al Consorzio per la Tutela dello Zafferano dell’Aquila.
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